FOMO: la paura di essere tagliati fuori
- Carla Ibba
- 27 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 30 mar

La sensazione di essere tagliati fuori in un mondo iperconnesso
Negli ultimi anni, sempre più persone riportano una sensazione ricorrente e trasversale: quella di sentirsi tagliati fuori. È una percezione sottile, ma pervasiva, che può manifestarsi attraverso l’idea di perdersi qualcosa di importante, di non partecipare a esperienze significative, di essere esclusi dalla vita “che conta”.
In ambito psicologico, questo vissuto è noto con il termine FOMO (Fear of Missing Out), ovvero la paura di essere esclusi da eventi, momenti sociali o opportunità che gli altri sembrano vivere pienamente.
La Treccani definisce la FOMO come “una nuova forma di ansia sociale” e “malattia del nostro secolo”. Una definizione che coglie con precisione la portata di questo fenomeno, sempre più diffuso nell’epoca della connessione costante.
Nella società attuale, i social media ci espongono quotidianamente a un flusso continuo di immagini e narrazioni di esperienze altrui che, spesso, appaiono perfette. È sufficiente aprire una qualsiasi piattaforma per imbattersi in vacanze invernali sulla neve in luoghi esclusivi, con chalet eleganti, camini accesi e paesaggi innevati; oppure, d’estate, fotografie a bordo di barche ormeggiate in acque cristalline, spiagge paradisiache, aperitivi al tramonto.
Anche la quotidianità viene estetizzata e trasformata in una vetrina: un semplice caffè, se fotografato con la frase giusta, può assumere l’aspetto di un’esperienza straordinaria, evocando un’idea di vita curata nei dettagli.
Cene in ristoranti eleganti, piatti dalla presentazione impeccabile, animali domestici perfettamente curati e fotogenici, gruppi di amici sorridenti, ben vestiti, in contesti scintillanti: tutto questo costruisce una narrazione della vita idealizzata, filtrata, selezionata.
In questo scenario, il confronto con gli altri diventa quasi inevitabile. È naturale, allora, che molte persone finiscano per provare un senso di inadeguatezza e insoddisfazione nei confronti della propria esistenza, che appare improvvisamente spenta, statica, poco significativa.
Anche la semplicità del quotidiano — che dovrebbe essere fonte di autenticità — viene svalutata, perché non all’altezza degli standard visivi che si impongono silenziosamente.
Oltre alla frustrazione, la FOMO può generare un vissuto ancora più profondo: la sensazione di non far parte del mondo. Come se esistesse un orologio collettivo che scandisce il tempo della vita sociale, fatto di eventi, esperienze, traguardi, condivisioni continue — e noi ci muovessimo secondo un tempo completamente diverso. Due meccanismi che viaggiano su binari paralleli: da una parte la corsa frenetica e pubblica del mondo esterno, dall’altra il bisogno personale di rallentare, fermarsi, osservare, ascoltare. Questo disallineamento genera un senso di esclusione e di distanza, come se si fosse fuori tempo, fuori luogo, fuori scena.
Ma ciò che non viene mostrato è altrettanto importante di ciò che viene condiviso. Nessuno racconta le lunghe attese in aeroporto, il mal di schiena dopo ore in viaggio, i contrattempi, le giornate no, la fatica mentale, la noia, la solitudine, le notti insonni. Tutto ciò che è imperfetto, ripetitivo, non esteticamente gradevole, viene tagliato fuori. Questo crea un’immagine della realtà incompleta, ma che viene interiorizzata come punto di riferimento. E nel confronto, la propria vita — vera, concreta, fatta anche di silenzi e fatiche — sembra sempre mancare di qualcosa.
Dal punto di vista clinico, la FOMO può rappresentare un indicatore di disagio. Spesso si accompagna ad ansia, tristezza, senso di inferiorità, e può incidere profondamente sull’autostima. Le persone si sentono in difetto, come se fossero sempre un passo indietro, fuori posto, o invisibili.
Come affrontare questa dinamica? Il primo passo è riconoscere che ciò che osserviamo è una narrazione parziale e costruita. Non stiamo guardando la realtà, ma una versione editata della realtà altrui. E paragonare la nostra esperienza non filtrata a quella "curata" degli altri è un confronto inevitabilmente diseguale.
Il secondo passo è il recupero del proprio ritmo interno. Uscire dalla logica del confronto e rientrare nel proprio tempo. Tornare a valorizzare ciò che è reale, autentico, anche se semplice, anche se imperfetto. Coltivare relazioni vere, momenti non condivisi, piaceri piccoli, silenzi. Un caffè vissuto davvero — senza postarlo — può avere un valore ben più profondo di un caffè esibito sui social.
Dal punto di vista terapeutico, la FOMO può diventare un’occasione preziosa per esplorare i bisogni più autentici: il desiderio di appartenenza, la fatica a tollerare il vuoto, il bisogno di riconoscimento, la difficoltà a stare nel qui e ora.
In un tempo che ci chiede costantemente di esserci, di mostrarsi, di partecipare, tornare al reale diventa un gesto di cura di sé e di libertà. Lavorare su questi temi significa rinforzare l’identità, liberarsi dalla dipendenza dallo sguardo esterno, e restituirsi il diritto di esistere secondo il proprio ritmo.


