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Una riflessione a partire dagli incendi in California - Parte I

  • Immagine del redattore: Carla Ibba
    Carla Ibba
  • 17 mar
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 26 mar

Una riflessione a partire dagli incendi in California - Parte I

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Brightsiding e pensiero positivo: quando minimizzare il dolore impedisce la guarigione

Ho seguito con grande interesse e partecipazione emotiva la questione degli incendi nella zona di Los Angeles, rimanendo profondamente colpita dalle immagini e dall’impatto devastante che questi eventi hanno avuto sulle persone coinvolte. Gli incendi divampati nel gennaio 2025 hanno colpito duramente diverse aree, tra cui Pacific Palisades, Altadena e Malibu, distruggendo interi quartieri, radendo al suolo abitazioni e attività commerciali e lasciando dietro di sé paesaggi irriconoscibili. In molte zone, il fuoco è stato così intenso da cancellare ogni traccia di ciò che esisteva prima.


Purtroppo, questo non è un fenomeno isolato. Negli ultimi anni, eventi simili hanno devastato altre comunità, lasciando dietro di sé non solo danni materiali, ma anche profonde ferite emotive. Il Camp Fire del 2018 ha raso al suolo la città di Paradise, in California, uccidendo 85 persone e lasciando migliaia di residenti senza una casa (esistono diversi documentari sul web). L’incendio dell'8 agosto 2023, invece, ha devastato la storica città portuale di Lahaina, nell’isola di Maui, causando oltre 100 vittime e migliaia di sfollati.


Anche in Europa, gli incendi hanno segnato tragicamente la storia recente. Nel luglio 2021, la Sardegna è stata colpita per giorni da un vasto incendio che ha devastato la provincia di Oristano, bruciando migliaia di ettari di boschi e terreni agricoli, causando danni irreparabili al territorio e costringendo molte persone a evacuare. Nel giugno 2017, un enorme incendio boschivo ha colpito il Portogallo, distruggendo l’area di Pedrógão Grande, con un bilancio tragico di 65 vittime e oltre 250 feriti.


Questi eventi non sono solo disastri ambientali, ma esperienze traumatiche che lasciano cicatrici profonde a livello territoriale e psicologico. Tuttavia, spesso la risposta collettiva alla sofferenza di chi ha perso tutto è caratterizzata da un eccessivo ottimismo e da frasi che, pur avendo l’intento di confortare, finiscono per risultare invalidanti.


L’aspetto dell’empatia e del diverso trattamento riservato alle persone colpite da queste tragedie sarà oggetto di approfondimento nalla Parte II


In questa riflessione, invece, voglio concentrarmi su un fenomeno che spesso accompagna la perdita: la positività tossica e il brightsiding.


Brightsiding: quando l'ottimismo diventa tossico.

Un aspetto particolare della positività tossica è il fenomeno noto come brightsiding, ovvero la tendenza a enfatizzare forzatamente il lato positivo di una situazione drammatica, ignorando o minimizzando la sofferenza delle persone coinvolte.


Questa tendenza porta a messaggi come: “Questa sarà un’opportunità, tutto accade per una ragione”, rivolto a chi ha perso la casa e tutto ciò che possedeva, oppure “Questa esperienza ti renderà più forte”, detto a chi ha appena subito un trauma. Anche frasi come “Pensa a quanta gente ha perso la vita, tu sei fortunato” possono risultare dannose, perché rischiano di far sentire chi soffre in colpa per la propria tristezza, facendo sentire la persona incompresa e isolata, come se non avesse il diritto di esprimere il proprio dolore.


Il brightsiding si basa sull’idea che si debba sempre trovare un lato positivo, anche nelle situazioni più difficili. Se da un lato è vero che la resilienza è un aspetto importante del recupero psicologico, dall’altro questa forzatura rischia di impedire alle persone di vivere ed elaborare il proprio dolore in modo autentico.


Durante la mia riflessione sul tema, mi sono imbattuta in un articolo del Los Angeles Times che affronta questo fenomeno in relazione alle situazioni di crisi. L’autrice ha messo in evidenza come, di fronte a tragedie come gli incendi che hanno devastato la California, le persone colpite siano state sommerse da messaggi di incoraggiamento che, pur mossi da buone intenzioni, hanno finito per minimizzare la loro sofferenza. Questo articolo è un contributo di grande valore, perché evidenzia come la nostra società abbia sviluppato una tendenza ad evitare il dolore, cercando di trasformare ogni difficoltà in un’opportunità di crescita, imponendo un ottimismo forzato che inibisce l’espressione della sofferenza.


Nella cultura contemporanea, c'è una spinta costante a interpretare ogni difficoltà come una lezione di vita, un’opportunità di crescita o una prova di resilienza. Tuttavia, non tutte le esperienze dolorose possono essere ridotte a una semplice opportunità di miglioramento. Il dolore e la sofferenza sono aspetti inevitabili dell’esperienza umana e vanno riconosciuti e affrontati in modo concreto.


 Sebbene le difficoltà possano effettivamente rendere una persona più forte, è altrettanto importante comprendere che il dolore deve essere elaborato, non semplicemente ignorato o ridotto a una tappa obbligata verso la resilienza.


Di fronte a chi ha subito una perdita, è fondamentale evitare il brightsiding e sostituire l’ottimismo forzato con un supporto genuino, basato sull’ascolto, sull’empatia e sull’aiuto concreto.


Una persona può sentirsi grata di essere sopravvissuta, ma allo stesso tempo devastata per ciò che ha perso, ed entrambe le emozioni sono valide e devono essere accolte senza giudizio.


Spesso, il supporto più significativo non consiste nel trovare le parole giuste, ma nel semplice atto di essere presenti, senza imporre soluzioni o minimizzare la sofferenza altrui. Perché il dolore non ha bisogno di essere cancellato con frasi di circostanza, ma di essere compreso, elaborato e accolto.


Una riflessione a partire dagli incendi in California - Parte II

Schadenfreude: il piacere per la disgrazia altrui

Gli incendi che hanno colpito la zona Los Angeles nel gennaio 2025 hanno avuto conseguenze devastanti. Eppure, la reazione del web è stata spesso di indifferenza, a tratti  dura, se non addirittura sarcastica. È curioso notare come, quando a perdere le case sono persone comuni, la risposta sia generalmente di solidarietà e vicinanza, mentre se le fiamme distruggono ville di lusso, l’atteggiamento cambia: invece dell’empatia, emergono distacco, insensibilità e persino un certo piacere nel vedere i "privilegiati" perdere qualcosa.


Da un punto di vista psicologico, ci sono diversi motivi dietro questa reazione. In particolare, quattro meccanismi sembrano giocare un ruolo chiave: la convinzione che chi ha già ricevuto tanto dalla vita non meriti ulteriore compassione; la tendenza a vedere i ricchi più come simboli di potere che come esseri umani con sentimenti; il piacere nel vedere qualcuno di successo affrontare delle difficoltà; il mito della ricostruzione automatica ossia l’idea errata che i ricchi abbiano sempre i mezzi per rimettersi in piedi senza problemi.


Quando la sofferenza viene "pesata" in base alla ricchezza.


Uno degli ostacoli principali all’empatia è il cosiddetto bias dell’ingiustizia. I bias sono scorciatoie cognitive che la nostra mente utilizza per elaborare le informazioni, ma che possono portare a errori di valutazione e a giudizi superficiali.


 Molte persone credono che il mondo sia un posto fondamentalmente giusto e che ognuno riceva ciò che merita. Quindi, se un incendio distrugge una villa da milioni di dollari, il pensiero automatico è: “Hanno già avuto tanto, non c’è bisogno di preoccuparsi anche per loro”. Questa visione è superficiale e spesso sbagliata. Alcuni di coloro che hanno perso la casa non sono miliardari o celebrità, ma persone che hanno acquistato la casa con un mutuo. Altri vivono lì da generazioni, spesso in case ereditate dai nonni o dai genitori. E con il ritiro delle assicurazioni dalle zone a rischio incendi, molti di loro non potranno mai ricostruire . Ma tutto questo passa in secondo piano, perché il valore della loro casa e la zona dove vivono diventa l’unico metro di giudizio: ”sei ricco, il tuo dolore conta meno”.


La distanza sociale e la deumanizzazione


Un altro motivo per la mancanza di empatia è la distanza sociale: è più facile provare compassione per chi percepiamo come simile a noi. Se un incendio colpisce una famiglia della classe media, possiamo immedesimarci e pensare: “Potrebbe succedere anche a me”. Ma se a bruciare è una villa in una zona di lusso, scatta un meccanismo opposto e quella persona viene percepita come appartenente a un altro mondo, quasi irraggiungibile. Questo porta alla deumanizzazione, ovvero la tendenza a vedere i ricchi non come persone, ma come simboli di privilegio. 


Quando si parla di incendi a Malibu o Pacific Palisades, i titoli dei media si concentrano spesso solo sul valore delle case: “Ville da milioni di dollari in cenere”. Ma dietro quei numeri ci sono storie, emozioni, vite stravolte. Una casa non è solo un insieme di mura e arredi lussuosi: è il luogo in cui ci si sente al sicuro, si costruiscono ricordi, si custodisce un’identità. E questo vale per tutti, indipendentemente dalla classe sociale.


Il piacere segreto di vedere i ricchi perdere qualcosa


La schadenfreude è quel sentimento quasi inconscio di soddisfazione quando qualcuno che consideriamo privilegiato subisce una perdita. In un’epoca di crescenti disuguaglianze, è normale che ci sia frustrazione nei confronti delle élite. Quando un evento negativo colpisce i più fortunati, alcuni lo vedono come una sorta di rivincita: “Ora sanno anche loro cosa vuol dire soffrire”. Si tratta però di un’illusione. Il dolore non è una gara, e il trauma legato alla perdita della propria casa è qualcosa di profondo, indipendentemente da quanto denaro si abbia.


Il mito della ricostruzione automatica


Infine, c’è la convinzione diffusa che i ricchi possano sempre risolvere ogni problema senza difficoltà. Se una famiglia normale perde la casa, scatta subito la preoccupazione per come farà a sopravvivere. Se succede a chi ha una villa di lusso, invece, si pensa automaticamente che possa semplicemente ricostruire o comprarne un’altra. Ma la realtà è più complessa. Molti di questi proprietari si trovano in una situazione drammatica perché, con l’aumento del rischio incendi, le assicurazioni si stanno ritirando da queste zone. Questo significa che chi ha perso la casa spesso non ha diritto ad alcun risarcimento e si ritrova senza alternative.


Riconsiderare il valore dell’empatia


Gli incendi di Los Angeles ci mettono di fronte a una domanda importante: perché valutiamo la sofferenza delle persone in base al loro reddito? Se una persona perde la casa e ha pochi mezzi, è automaticamente una vittima. Se invece la perde qualcuno che è presumibilmente più benestante, si pensa che se la caverà comunque.

Una casa non è solo un bene materiale, è parte della nostra identità e del nostro senso di sicurezza. La perdita di una casa è sempre un trauma, a prescindere dal valore economico. Forse dovremmo iniziare a riconoscere il dolore degli altri per quello che è, senza farci condizionare da pregiudizi e stereotipi sociali.

 
 
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